Recupero dell’IVA nelle procedure esecutive

L’articolo 26 della legge IVA (Dpr 633/72), il Dl 669/96 (convertito dalla legge 30/97) a sua volta modificato dal Dl 79/97 (convertito dalla legge 140/97), interpretati dalla circolare 77/E del 17 aprile 2000 del Ministero, fanno sì che un’operazione, a patto che sia stata fatturata e registrata, possa essere portata in diminuzione d’imposta nel caso di infruttuosità delle procedure.

Ma l’infruttosità nelle procedure esecutive, che si concretizza nel momento in cui viene constatata l’insussistenza delle somme destinate al soddisfacimento del creditore, in quale momento può dirsi accertata?

La premessa essenziale, per esaminare il quesito, è il riferimento all’articolo 66, comma 3 del Tuir che condiziona la deducibilità della perdita su crediti al manifestarsi di elementi certi e precisi che supportino la perdita. In assenza di assoggettamento a procedura concorsuale del debitore, ipotesi in cui certezza e precisione degli elementi legittimanti la perdita sussistono ex lege, occorre dimostrare l’insolvibilità del debitore.

Poichè la normativa parla di “avvio” della procedura individuale e di suo esito negativo, è necessario che si correlino le tre fasi tipiche in cui il procedimento esecutivo si articola:

a) il pignoramento dei beni (in tal modo sottratti alla disponibilità del debitore inadempiente);

b) la vendita forzata dei beni pignorati;

c) l’attribuzione del ricavato al creditore.

Ricordando che l’avvio della procedura si identifica univocamente con il pignoramento, va rilevato che il suo esito infruttuoso può assumere la duplice configurazione di insufficienza di somme realizzate, accertabile in sede di attribuzione del ricavato, o di insussistenza di beni da sottoporre ad esecuzione, accertabile ad opera dell’ufficiale giudiziario nell’atto di accesso.

In altri termini, la notifica del titolo o la formazione del precetto e la sua notificazione non realizzano la condizione di avvio della procedura individuale, qualificandosi come semplici atti prodomici dell’espropriazione forzata il cui inizio, ai sensi dell’art. 491 c.p.c., coincide col pignoramento.

Invece, quando non si arrivi all’avvio della procedura esecutiva e, quindi, ci si limiti ad una lettera stragiudiziale o addirittura alla notifica del titolo e del precetto (senza richiedere il pignoramento), si può fare ricorso all’istituto della remissione del debito (articolo 1236 e ss. c.c., per cui “La dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione quando è comunicata al debitore, salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne profittare”) che, quale atto unilaterale recettizio, comporta la certezza della perdita sul credito laddove la parte debitrice non dichiari, entro il termine fissato dal creditore, di non volerne profittare (fattispecie che, per ovvie ragioni, raramente si manifesta).

Dal punto di vista fiscale, nella dichiarazione deve essere assolutamente chiaro che la remissione non nasce da una liberalità (come tale sarebbe indeducibile), ma da un’operazione supportata da convenienza economica in capo al creditore e quindi deducibile.

Al riguardo, il riferimento alla prassi amministrativa rileva un solo l’intervento della Rm 9/557 del 9 aprile 1980 che ha riconosciuto la deducibilita` della perdita sul credito prodotta dalla remissione, a condizione che la rinunzia al credito sia atto che manifesta convenienza economica e quindi incrementa il risultato d’esercizio in ragione del minore carico fiscale.

Generalmente, si ritiene che la convenienza economica alla remissione possa sussistere se l’atto ha come oggetto un credito di limitata entità (ovviamente il giudizio è relativo, variando dalle dimensioni dell’azienda creditrice, dai tentativi di recupero coatto tentati, ecc.). Inoltre, mi sembrerebbe opportuno giustificare la remissione del credito con il risparmio delle spese legali, in quanto l’opzione per la remissione del debito consentirebbe di anticipare il recupero dell’IVA rispetto all’esito infruttuoso della procedura esecutiva o concorsuale, indicato dalla legge. Tale giustificazione economica metterebbe il creditore al riparo da ipotetiche contestazioni riguardanti l’elusività dell’operazione.

Conseguita la certezza dell’infruttuosità delle procedure, il creditore puo` dar corso alla variazione in diminuzione per l’imponibile e l’imposta con l’emissione della relativa nota di accredito.

Nel momento in cui il creditore esercita la remissione, il debitore ha l’obbligo di registrare una corrispondente variazione in aumento (come sopravvenienza attiva) nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi: nella pratica, tuttavia, è difficile che ciò avvenga. Il creditore, quindi, avrà l’onere di intimare al debitore, nella lettera di dichiarazione di remissione del credito, di annotare l’operazione, con esonero da ogni responsabilità qualora ciò non avvenga.

Se al termine della procedura esecutiva il cedente o prestatore consegua parte o tutto il credito originariamente vantato e in precedenza insoddisfatto, in relazione all’importo recuperato dovra` rettificare la detrazione operata a seguito della variazione in diminuzione.

La diminuzione, attesta la circolare 77/E, deve comunque riguardare entrambe le quantita` in gioco (imponibile e imposta).

Va rilevato, tuttavia, che sarebbe prudente che la remissione del credito avvenga entro un anno dall’operazione che ha generato il credito IVA.

Infatti, il comma 3 dell’art. 26 prevede che la variazione in diminuzione, quando la causa di risoluzione, revoca, rescissione, ecc. dipende dalla volontà delle parti, può essere effettuata solo entro l’anno.

Nel caso di specie, l’amministrazione potrebbe eccepire (ma non è pacifico) che il creditore, dichiarando di rimettere il debito, ed il debitore, accettando, abbiano posto in essere un accordo.

Invece, ai fini delle imposte sul reddito la perdita su crediti può essere contabilizzata con più libertà rispetto all’IVA, in quanto la prassi e la giurisprudenza ritengono che la certezza e la precisione degli elementi da cui dipende la perdita stessa (in caso di operazioni di importo esiguo) sia desumibile anche dal mancato seguito dato a lettere di intimazione, diffide, ecc..